Acqua, viticoltura e cambiamento climatico: a che punto siamo?
Il caso studio della Campania, secondo la rielaborazione effettuata dal Crea

"Il futuro del vino passa attraverso l’acqua. Proteggerla significa proteggere la nostra identità. In un contesto segnato da cambiamenti climatici sempre più evidenti, la gestione sostenibile delle risorse idriche non è più una scelta, ma una necessità strategica. La viticoltura italiana, con la sua straordinaria biodiversità e il suo valore culturale ed economico, è oggi chiamata ad affrontare una sfida epocale: produrre qualità, tutelare il territorio e ridurre l’impatto ambientale. È nostro compito, come ente di ricerca pubblico, fornire strumenti scientifici, soluzioni tecnologiche e supporto alle imprese agricole per garantire la resilienza e la competitività del comparto vitivinicolo”. Così il presidente Crea Andrea Rocchi, in occasione del convegno intitolato “Gestione delle risorse idriche per una viticoltura sostenibile”, in corso oggi, organizzato dal Crea, centro Politiche e bioeconomia, dall’Università del Sannio, dalla Camera di Commercio Irpinia Sannio e dalla Siea (Società Italiana di Economia Agroalimentare) nell’ambito di “Territori, Cibo e Società: tra sfide globali e complessità” la tre giorni di eventi promossa da Sidea, Siea e Ceset.
Negli ultimi anni, le regioni vitivinicole del Mediterraneo stanno affrontando una profonda trasformazione dovuta ai cambiamenti climatici: siccità sempre più frequenti, ondate di calore estremo e scarsità idrica minacciano la resilienza dei territori, la produttività delle vigne e l’intera filiera del vino. Particolarmente colpito il bacino del Mediterraneo, considerato un vero e proprio hot spot climatico, dove si osservano già effetti evidenti sulla fisiologia della vite, sulla qualità delle uve e sulla sostenibilità delle pratiche agricole tradizionali.
L’Italia, tra i principali produttori di vino al mondo, custodisce una straordinaria biodiversità con oltre 500 vitigni autoctoni e circa 225.000 ettari di vigneti irrigati, pari al 9,5% delle superfici irrigate totali (2,5 milioni di ettari). Il fabbisogno idrico medio della vite è di circa 4.000 m³/ha per stagione, variabile in base al sistema colturale e alla varietà. Le tecniche irrigue prevalenti sono la microirrigazione a goccia (21,5%), l’aspersione (38%), scorrimento superficiale, infiltrazione laterale e sommersione (40,5%). In particolare, in Campania - secondo la rielaborazione fatta dal Crea con il suo centro di Politiche e Bioeconomia dei dati dell’ultimo Censimento Istat 2020 - solo l’1,17% delle superfici vitate è irrigato: un uso selettivo e mirato, in crescita soprattutto in Irpinia e nel Sannio, dove si assiste a un forte incremento delle aziende produttrici di vini di qualità (da 267 nel 2010 a 817 nel 2020). La quasi totalità (99% circa) delle aziende viticole campane dipende ancora dalle precipitazioni naturali.
In un contesto in cui i disciplinari di produzione vietano l'irrigazione forzata, ma consentono l’irrigazione di soccorso (L. 238/2016, art. 35), si rende sempre più urgente adottare strategie irrigue efficaci per fronteggiare la scarsità idrica, nel rispetto della qualità e dell’ambiente. Le due principali tecniche consentite sono la Soprachioma (aspersione a pioggia) - meno costosa, ma con rischi fitosanitari maggiori - e la Sottochioma (gocciolante e subirrigazione), più efficiente e sostenibile, ma con costi iniziali più elevati. Un’ulteriore frontiera per la viticoltura moderna è rappresentata dal Deficit Idrico Controllato (Rdi): una tecnica che prevede la gestione dello stress idrico moderato per migliorare la qualità dell’uva, ottimizzare l’uso dell’acqua e adattarsi ai cambiamenti climatici.
EFA News - European Food Agency