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Biogas: un errore favorire l'uso di sottoprodotti alimentari

Assalzoo: "Incentivarne l'utilizzo significa uccidere l'economia circolare"

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo di Giulio Usai, responsabile economico di Assalzoo.

Con la conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° marzo 2022, n.17, recante misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali, è stata ulteriormente facilitata e incentivata la possibilità di utilizzare sottoprodotti dell’industria alimentare per la produzione di biogas e biometano (vedi articolo di EFA News del 9/5/2022).

Come noto, la possibilità di impiegare sottoprodotti nella produzione di biogas, e in generale di energia, è una prassi in uso e, in via di principio, condivisibile in tutti quei casi in cui questi materiali non abbiano altra utilità produttiva o commerciale al di fuori dell’impiego per la produzione di energia, come del resto già previsto dal Decreto del Ministero dello sviluppo Economico del 26 giugno 2016.

Sotto questo profilo è invece del tutto diversa la circostanza che riguarda la quasi totalità dei sottoprodotti dell’industria alimentare – oltre che di molti prodotti che derivano dall’attività primaria agricola – che da sempre sono valorizzati e utilizzati, come ad esempio nel caso della mangimistica, all’interno dello stesso circuito alimentare dal quale derivano, per la produzione alimentare umana o animale. L’impiego di questi sottoprodotti è garanzia di un grado molto elevato di efficienza e sostenibilità all’interno della filiera agro-zotecnica-alimentare, per la quale hanno assunto, nel tempo, un ruolo crescente e sempre più fondamentale e imprescindibile, se si considera la scarsità di materie prime prodotte nel nostro Paese. La stessa Fao, infatti tra i temi rilevanti per un sistema agro-zootecnico sostenibile indica lo sviluppo di ricerche di nuove materie prime che garantiscano sicurezza alimentare che riducano la competizione sul suolo per gli alimenti.

Tra gli impieghi di sottoprodotti alimentari, quello che avviene da parte del settore mangimistico dimostra quanto sia già elevato il grado di circolarità raggiunto. Questo comparto produttivo impiega volumi molto cospicui di sottoprodotti provenienti dal circuito agroalimentare: quasi 9 milioni di tonnellate annue nel complesso. Il settore è dunque in grado di utilizzare queste risorse come materie prime per la produzione di carni, latte, uova e pesce necessari a garantire la sicurezza alimentare del nostro Paese.

Non va dimenticato in questo contesto che l’impiego di sottoprodotti per la produzione di alimenti per animali, oltre che per quelli destinati al consumo dell’uomo, rappresenta un’alternativa fondamentale all’impiego di altre materie prime, soprattutto di origine vegetale. Tra queste, cereali e semi oleosi, la cui produzione nel nostro Paese è assolutamente insufficiente a garantire la copertura del fabbisogno interno e che costringe l’Italia a importarne il 60% circa dall’estero, con un costo che sfiora i 7 miliardi di euro all’anno. Importazioni e costi che sarebbero, pertanto, molto più elevati se non avessimo la possibilità di impiegare i sottoprodotti alimentari per la produzione di mangimi e, in molti casi, anche di alimenti per uso umano.

È pertanto di tutta evidenza come l’incentivazione offerta dallo Stato, con soldi pubblici, all’impiego di ingredienti per l’alimentazione animale per la produzione di biogas e biometano rappresenti un grave pericolo perché metterebbe a rischio la disponibilità di materie prime fondamentali per la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari del nostro Paese, costringendoci ad acquistarle all’estero in quantità ancora maggiori, con ulteriore forte esborso economico e con pesanti ricadute negative in termini di sostenibilità anche ambientale. Per produrre la quantità di sottoprodotti che verrebbero “bruciati” per produrre biogas si dovrebbero, infatti, seminare maggiori superfici per produrre materie prime agricole aggiuntive, producendo una quantità di CO2, in termini complessivi, molto superiore rispetto al beneficio che si avrebbe con il biogas ottenuto dall’impiego di sottoprodotti alimentari. In pratica, se analizzata a più ampio spettro, una politica fallimentare sia sotto il profilo economico e sociale sia sotto quello ambientale, ma ancor più sacrificando una parte importante di materie prime per una produzione strategica e non rinunciabile come quella alimentare.

Inoltre, come se non bastasse, tutto questo non avviene nemmeno a costo zero per la collettività ma drogando la produzione di gas con incentivi pubblici (sia per la costruzione degli impianti, sia per ogni m3 di gas prodotto), creando una vera e propria discriminazione a danno dei produttori alimentari costretti a trovare vie alternative e senza alcun incentivo.

Va peraltro detto che tutto questo avviene senza che sia stata fatta alcuna valutazione del reale impatto sul piano costi/benefici che derivano dalla produzione di biogas e biometano a partire da sottoprodotti alimentari, o peggio da prodotti alimentari (come il mais) che dovrebbero essere invece impiegati per una produzione fondamentale come quella di cibo.

Un paio di esempi possono contribuire a dare una dimensione economica del problema, tralasciando l’impatto ambientale di una simile scelta:

  • dall’impiego dei soli ex prodotti alimentari (prodotti da forno, dell’industria dolciaria ecc.) si producono oggi circa 350.000 ton/anno di farine ad alto valore nutrizionale per l’impiego mangimistico, che possono sostituire parzialmente farine di cereali fioccati, oli e grassi, e zuccheri con un eccezionale apporto nutrizionale e che, se si dovessero rimpiazzare con ingredienti “tradizionali”, comporterebbero un valore di oltre 190 milioni di euro all’anno e la necessità di mettere a coltura ulteriori 37.500 ettari circa di suolo coltivabile (che l’Italia non ha), senza contare – come accennato – tanto i benefici in termini complessivi di sostenibilità e risparmio di CO2 prodotta, quanto l’addizionale disavanzo per la bilancia commerciale del Paese se questa ulteriore quantità di farina dovesse essere acquistata all’estero; 
  • oggi per la produzione di biogas si impiegano circa 180mila ettari per coltivare mais da utilizzare nei biodigestori. Il mais è un cereale di cui il nostro Paese ha un autoapprovvigionamento interno ormai inferiore al 50%. Se destinassimo quella superfice alla produzione di granella invece che di biogas, otterremmo quasi 2 milioni di tonnellate di granella di mais per un valore di circa 800 milioni di euro all’anno, aumentando la nostra capacità di autoapprovvigionamento dal 50% a poco meno del 70%.

Se è del tutto evidente che il nostro Paese abbia l’obbligo di esplorare ogni via per garantire una maggiore produzione di energia e di gas e di ridurne la propria dipendenza dall’estero, non è tuttavia in alcun modo giustificabile e tollerabile che questo avvenga a scapito di un settore strategico come quello alimentare per il quale, negli ultimi anni abbiamo aumentato la dipendenza dalle importazioni, esponendoci al mercato internazionale, con il grave pericolo – come hanno dimostrato due anni di pandemia e ora la guerra russo/ucraina in atto – di mettere a rischio la stessa sicurezza alimentare interna.

Per tale ragione Assalzoo intende sottolineare, all’attenzione dei decisori politici e del Governo, che l’impiego di sottoprodotti alimentari per uso energetico debba essere normato in modo specifico, seguendo le raccomandazioni della FAO e dell’Unione Europea, stabilendone la priorità di impiego per l’uso alimentare e mangimistico, con la destinazione all’uso energetico unicamente nel caso in cui questi sottoprodotti dovessero perdere le caratteristiche di idoneità all’impiego alimentare, ad esempio per motivi sanitari o per il loro deterioramento. 

Si tratta di una decisione che risponde non solo a un principio etico e morale, in un momento in cui lo spettro della fame allunga le sue ombre sul mondo, ma anche all’esigenza di adempiere a una corretta applicazione del criterio dell’economia circolare e di una quanto mai necessaria reale prevenzione degli sprechi alimentari, tanto più intollerabili in un Paese come il nostro, per il quale si profila il rischio di non riuscire a garantire le forniture alimentari qualora vi fosse un’ulteriore escalation del conflitto in atto.

red - 24716

EFA News - European Food Agency
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