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Dermatite nodulare bovina: a rischio dal 40% al 60% del latte vaccino

Pulina (Carni Sostenibili) a EFA News: "Situazione critica solo in Sardegna, necessari vaccini e abbattimenti"

La dermatite nodulare bovina è una malattia già nota agli allevatori italiani. I recenti focolai sviluppatisi in Sardegna stanno suscitando giustificate preoccupazione per il comparto zootecnico bovino isolano, tuttavia, l'Italia peninsulare non dovrebbe essere coinvolta a livello epidemiologico. E' bene ricordare che la malattia non è trasmissibile all’uomo, non c’è alcun rischio di contagio né tramite il contatto con gli animali infetti, né attraverso il consumo di carne o latte. EFA News ne parlato con Giuseppe Pulina, professore ordinario di Zootecnica Speciale presso il Dipartimento di Agraria dell'Università di Sassari e presidente dell'Associazione Carni Sostenibili.

Professor Pulina, per introdurre il discorso: che cos'è la dermatite nodulare bovina?

Si tratta di una malattia conosciuta già da molto tempo, di origine chiaramente africana, che poi si è diffusa verso Nord, andando a colpire inizialmente i Balcani e la Grecia, poi l'abbiamo avuta anche in Italia, dove è stata eradicata ma quest'anno è tornata ad affacciarsi nel nostro Paese e in Francia. Tanto è vero che persino il Tour de France è stato sottoposto a una deviazione per non andare ad interferire con le aree di sorveglianza e di restrizione colpite dalla patologia. Attualmente, dunque, i Paesi sotto osservazione sono proprio l'Italia e la Francia. La dermatite nodulare bovina è una patologia di origine virale, generata dal Capripoxvirus (CaPV): il ceppo che ha colpito l'Europa è denominato "nesting" e la trasmissione principale avviene attraverso artropodi come, ad esempio mosche, zanzare o zecche, tuttavia si possono verificare contagi anche il contatto diretto (meno efficace), oppure per via seminale o anche per trasmissione iatrogena attraverso aghi infetti ma si tratta di casi avvenuti in Paesi in via di sviluppo, non certo all'interno del perimetro dell'Unione europea. La patogenesi è nota: si tratta di lesioni infiammatorie cutanee, vasculite e necrosi superficiali. La viremia si manifesta dai 6 ai 15 giorni dopo l'infezione per cui gli animali che sono infetti entro la prima settimana non sono sostanzialmente rilevabili. L'immunità può durare un anno.

Che tipo di prevenzione si può effettuare?

La prevenzione avviene solo e unicamente attraverso la vaccinazione, essendo una patologia trasmessa attraverso vettori, difficilissimi da controllare. L'Unione Europea ha infatti inserito la dermatite nodulare nel regolamento n°429 del 2016, che l'ha introdotta fra le patologie di categoria A, ovvero tra le più dannose, che vanno immediatamente eradicate innanzitutto attraverso un isolamento dei focolai e attraverso la procedura denominata stamping out, cioè l'abbattimento di tutti i capi presenti all'interno del focolaio. Questo, tra l'altro, è in osservanza anche di altri regolamenti dell'Unione Europea, in particolare del n°687 del 2020, che stabilisce le zone di protezione a 20 km e le zone di sorveglianza a 50 km. Dopodiché, recentemente, l'Unione europea ha emanato due decisioni esecutive, la n°13 e la n°18 del dello scorso 27 giugno, che riguarda per l'appunto l'Italia. C'è ancora un'altra decisione che ci riguarda, quella del 19 luglio 2023, una decisione già datata, che però è ancora ancora attiva per quanto riguarda la movimentazione degli animali.

La mortalità per dermatite nodulare è elevata?

Non è elevatissima, intorno al 3%, ma si può arrivare anche al 10%. Di fatto, però, vi sono perdite economiche rilevanti non soltanto perché gli animali non possono essere movimentati ma perché si può perdere dal 40% al 60% in termini di latte e si possono avere casi di infertilità femminile importante. Fondamentalmente, è una malattia che va denunciata subito e le autorità devono provvedere all'eradicazione perché se poi diventa una malattia stabile dell'areale, allora i problemi si fanno molto più complessi. Ogni anno bisogna intervenire e le restrizioni per i Paesi che presentano la patologia sono piuttosto importanti anche per il commercio delle carni e del latte.

Qual è il quadro attuale in Italia?

In Lombardia è stato immediatamente neutralizzato un caso in Lombardia, per fortuna c'è stato un intervento specifico puntuale estremamente rapido nel giro di poche ore (leggi notizia EFA News). Per il momento la situazione nel resto dell'Italia peninsulare è abbastanza tranquilla, il problema lo abbiamo in Sardegna, con oltre 30 focolai attivi. Va tenuto conto che l'isola è larga 100 km, quindi l'epidemia coinvolge quasi tutto il territorio. Una task force sta effettuando le vaccinazioni (leggi notizia EFA News) a partire dalle aree più sensibili, come Arborea, dove c'è una forte concentrazione della coltura da latte, per poi andare verso le aree in cui vi sono gli animali infetti (che, ovviamente, non vanno vaccinati), che, in tal caso vanno abbattuti e le loro carcasse smaltite.

Alla luce del quadro da lei descritto, quantomeno gli allevatori continentali possono dormire sonni tranquilli?

Finché non c'è circuitazione virale e finché la movimentazione di animali infetti è bloccata, direi di sì, a meno che non dovessimo riscontrare qualche problema transfrontaliero dalla Francia ma presumo che non ne avremo perché i francesi sono bravissimi a gestire queste emergenze. Il fatto che il virus si sia manifestato in un'isola, tutto sommato, protegge il resto del Paese. 

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EFA News - European Food Agency
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