I giapponesi in coda per il riso alle stelle
Per colpa di una politica protezionistica, il prezzo è schizzato ai massimi storici

Sembrava una battuta infelice, uno scivolone su un chicco di riso da parte del ministro dell'Agricoltura in Giappone, Taku Eto, come abbiamo scritto un mesetto fa (leggi notizia EFA News). E invece la frase che ha inchiodato alle sue responsabilità l'ormai ex ministro, il quale aveva dichiarato divertito di "non comprare da tempo il riso perché gli veniva regalato in quantità ingenti dai sostenitori, al punto di potere iniziare anche a venderlo", torna drammaticamente di attualità neanche un mese dopo. Ribadendo, ce ne fosse bisogno, quanto sia difficile la situazione per quanto riguarda la commodity, base storica dell’alimentazione in Giappone
Il prezzo del riso è schizzato alle stelle: un sacco da 60 kg di riso raccolto nel 2024 ha raggiunto il massimo storico di 26.400 yen, pari a quasi 160 Euro. La conseguenza immediata è che nei supermercati gli scaffali sono vuoti o poco riforniti e così si allungano le code per poterne comprare almeno qualche chilo.
Non solo: molti negozi espongono cartelli che invitano i clienti con meno disponibilità economica a orientarsi su prodotti più economici come pane e pasta. Molti consumatori stanno accumulando scorte mentre i grossisti si tengono gelosamente in magazzino i sacchi pieni del pregiatio chicco. Il governo ha attinto per la prima volta alle riserve strategiche di riso al di fuori dei casi di disastro naturale: quando, lo scorso fine settimana, una parte è stata messa in vendita si sono formate code lunghissime nei supermercati nipponici.
La battaglia viene combattuta su vari fronti. La carenza e l’aumento dei prezzi hanno provocato una forte competizione tra le cooperative di acquisto del riso, che rappresentano il 40% del mercato giapponese,, i grossisti e i grandi acquirenti come le catene di ristoranti e le aziende alimentari. Molte cooperative si sono addirittura rivolte direttamente agli agricoltori, portando il prezzo al massimo storico accennato, opssia 160 Euro per 60 chili.
Sulla "politica del riso" si gioca gran parte della popolarità del premier Shigeru Ishiba, abbondantemente impopolare già adesso proprio a causa del raddoppio dei prezzi del riso nel 2024. Il fatto che che Ishiba deve affrontare con questo fardello le elezioni della camera alta a luglio: una tornata elettorale che, secondo gli analisti, si giocherà proprio sul malcontento popolare per l'inflazione e il prezzo del riso. Per questo Ishiba ha deciso di istituire un comitato speciale per discutere una riforma urgente della politica sul riso: inoltre, come abbiamo accennato, ha rimosso rimosso il ministro dell'Agricoltura Eto (quello della battutaccia sul riso, per capirci), nominando al suo posto Shinjiro Koizumi, figlio dell’ex premier Junichiro Koizumi, con il mandato di risolvere la crisi.
La colpa alla base del disastro pare essere, ancora un volta, quella di un eccessivo protezionismo. Secondo Kazuhito Yamashita, direttore del Canon Institute of Global Studies, il problema è diventato difficile da risolvere stante la scelta (politica), attivata da decenni, di proteggere gli agricoltori giapponesi dalla concorrenza estera: in quest'ottica sono state limitate le importazioni di riso straniero mirando a mantenere alti i prezzi per accontentare l’elettorato rurale. Oggi, però, i rincari colpiscono le famiglie e trasformano l’inflazione in un problema politico generale.
Non è tutto, perché riguardo al dramma del riso, molti criticano il programma di "set-aside", cioè degli "incentivi a non coltivare": il programma è terminato nel 2018 ed era stato pensato per aumentare i prezzi riducendo l’offerta. "Il set-aside è sempre stato il problema -sottolinea Yamashita-. Se il Giappone adottasse sussidi diretti, come fanno altri Paesi, la situazione cambierebbe. Gli agricoltori potrebbero lavorare su più terreni e ridurre i costi grazie all’economia di scala e produrre più riso. Il Giappone avrebbe potuto essere un esportatore globale di riso di alta qualità, se le sue politiche non avessero spinto nella direzione opposta".
E anche se oggi gli agricoltori attivi rappresentano meno dell’1% della popolazione totale, rispetto al 4,4% del 1976, rimangono una lobby molto influente. "La riduzione del numero ha reso più facile per gli agricoltori raggiungere un consenso politico -spiega Kunio Nishikawa, esperto all’Università di Ibaraki-. Il sistema elettorale giapponese assegna un numero relativamente alto di seggi parlamentari alle zone rurali, rafforzando l’influenza politica degli agricoltori. Alla fine, il calo del numero di agricoltori renderà più facile avviare una riforma agricola su larga scala".
EFA News - European Food Agency