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CLARA MOSCHINI

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Dazi/3. E se l'impatto fosse inferiore alle stime?

Lo sostiene Unimpresa con un'elaborazione macroeconomica del Centro studi

"L’impatto dei nuovi dazi al 15% concordati tra Stati Uniti e Unione europea sulle esportazioni italiane potrebbe essere sensibilmente inferiore rispetto alle stime iniziali". Lo sostiene Unimpresa, a 24 ore dall'entrata in vigore delle nuove tariffe prevista per domani, 1° agosto. Secondo l'Unione nazionale delle imprese, infatti, "alcuni settori chiave, come il farmaceutico, le specialità chimiche e parte dei beni ad alta tecnologia, saranno soggetti a esenzioni totali o parziali. A fronte di un export complessivo verso gli Usa pari a circa 66-70 miliardi di euro, l’esposizione effettiva delle imprese italiane ai dazi si ridurrebbe quindi a una base tra 45 e 50 miliardi di euro. Di conseguenza, il costo diretto stimato per le aziende si attesterebbe in un intervallo compreso tra 6,7 e 7,5 miliardi di euro, rispetto ai quasi 10 miliardi ipotizzati in precedenza".

Secondo la stima del Centro studi di Unimpresa, "l’impatto risulterà, inoltre, distribuito in modo disomogeneo, con una maggiore pressione sui settori a bassa elasticità di prezzo e una tenuta maggiore per il Made in Italy di fascia alta". 

L’export italiano verso gli Usa nel 2024 è stato tra 66 e 70 miliardi di euro e, "sulla base alle prime stime, l’onere lordo teorico dei dazi avrebbe potuto collocarsi tra 9,9 e 10,5 miliardi. Tuttavia -sostiene Unimpresa-, l’effetto reale sarà attenuato da esenzioni settoriali, capacità di riassorbimento nei margini e riorganizzazioni produttive che fanno calare l’impatto tra 6,7 e 7,5 miliardi". Non a caso, aggiungiamo, il nodo delle esenzioni è uno di quelli che maggiormente attira l'attenzione e che, addirittura, potrebbe determinare un rinvio (parziale) dell'entrata in vigore dei dazi, come confermato da Bruxelles oggi.

Secondo Unimpresa, "l’impatto macro sull’Italia potrà essere contenuto tra lo 0,15% e lo 0,4% di pil cumulato nel triennio 2025–2027, con una incidenza nel 2025 compresa tra 0,1% e 0,2%. 

I settori più esposti sono:

meccanica, 27% dell’export verso Usa (18 miliardi di euro, dazio teorico 2,7 miliardi);

chimico‑farmaceutico 20% (13 miliardi di euro, 2,0 miliardi); 

moda‑pelle 17% (11 miliardi di euro, 1,65 miliardi);

agroalimentare e bevande 12% (8 miliardi di euro, 1,2 miliardi); 

trasporti 11% (7 miliardi di euro, 1,05 miliardi);

occhialeria, gioielli, arredamento 9% (6 miliardi di euro, 0,9 miliardi). 

"Il dazio al 15% non è una buona notizia, ma non è uno shock sistemico -spiega il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora-. Le imprese italiane dispongono di tempo, strumenti e mercati alternativi per assorbire e redistribuire il costo della nuova politica commerciale americana. In termini macro, gli effetti sul pil italiano appaiono gestibili e probabilmente inferiori a mezzo punto cumulato nel medio periodo, con una traiettoria che dipenderà dalle esenzioni finali, dalla capacità di riposizionamento settoriale e dalle misure di supporto europee e nazionali". 

"L’accordo -aggiunge Spadafora- è un compromesso che riduce il rischio di guerra commerciale e consente alle imprese italiane di affrontare l’impatto con strumenti e margini di manovra adeguati. La chiarezza normativa, la possibilità di rinegoziare contratti e la diversificazione dei mercati possono facilitare una gestione ordinata della transizione. La priorità, ora, è tradurre l’accordo politico in norme operative chiare, velocizzare i canali di diversificazione e sostenere le pmi nelle strategie di pricing, hedging e presenza produttiva negli Stati Uniti. In questo modo, l’Italia può contenere l’impatto e continuare a presidiare il mercato americano, preservando occupazione e valore aggiunto".

Tre elementi giocano in favore di una gestione ordinata dell’impatto:

1. Certezza delle regole: un’aliquota nota (15%) è gestibile meglio di una minaccia mobile al 30%, consentendo di rinegoziare listini e contratti di fornitura e acquisti;

2. Diversificazione geografica: il sistema produttivo italiano ha già dimostrato, in passato, di saper ri‑indirizzare parte dell’export verso Asia, America Latina, Africa e Medio Oriente, preservando volumi e valore aggiunto. 

3. Strumenti europei e nazionali di mitigazione: credito all’export (SACE), garanzie per investimenti produttivi negli USA e politiche fiscali mirate per le PMI possono attenuare l’onda d’urto iniziale. Infine, carve‑out e quote in alcuni settori strategici (chimico‑farmaceutico, semiconduttori, componentistica aeronautica) limiteranno ulteriormente l’impatto effettivo sul valore esportato. 

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EFA News - European Food Agency
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