Estate. Tutti i segreti del gelato artigianale
Intervista con Vincenzo Pennestrì, presidente dell’Associazione Gelatieri Italiani

Nella lunga estate calda degli italiani lui, il gelato, è l’alimento cui in pochissimi sono disposti a rinunciare. A dirlo è il recente sondaggio Ipsos, condotto per Magnum, su un campione di 338 persone: dal quale emerge infatti che ben il 65% degli intervistati (e cioè ben 7 su 10) del gelato proprio no, non può fare a meno, primo tra gli immancabili must estivi.
Il dato conferma un gradimento (e relativa tendenza all’acquisto) in continua ascesa: visto che già lo scorso maggio l’Osservatorio SIGEP World, in base ai dati di CREST-Circana e dell’Associazione Italiana Gelatieri, aveva previsto per l’estate 2025 un incremento delle vendite, relativamente al gelato artigianale, intorno al 4% in tutta Italia.
Superando così il trend della stagione 2024, nella quale la crescita si era attestata tra lo 0,5% e l’1%, raggiungendo quasi 3 miliardi di euro di fatturato (Fonti: UIF, ACOMAG, Confartigianato, Confesercenti, FIPE-Confcommercio, Demoskopika, ISTAT, TCI, ARPA).
A questi vanno aggiunti altri 1,7 miliardi, derivanti da aziende fornitrici di ingredienti, macchinari e vetrine. In generale, tra mastri gelatieri, fornitori e tecnici il comparto impiega oltre 120.000 addetti e, vero simbolo dell’agroalimentare nazionale, è strettamente connesso alla filiera di latte, zucchero, frutta e frutta secca di casa nostra.
Ma attenzione: non è artigianale tutto ciò che (dolcemente) gela. Nell’ormai acclarata assenza di una legge ad hoc sul settore, la parola più in voga quest’estate è crafty: termine che identifica ice cream apparentemente artigianali ma realizzati in realtà con composti semilavorati, subito pronti da mantecare. Ben diversi perciò da quelli realizzati a mano, giorno per giorno, con eccellenti materie prime fresche. La confusione regna sovrana: perché il consumatore difficilmente è in grado di distinguere un gelato da un altro, confondendo un semplice prodotto sfuso da uno realmente artigianale.
Quali quindi le linee guida per riconoscere un ice cream fatto – in toto – a mano? “Entrati in negozio vale la pena buttare sempre un occhio al banco gelati”, spiega Vincenzo Pennestrì, presidente dell’Associazione Gelatieri Italiani (15.000 associati sui 39.000 operanti sul territorio nazionale) e Ambasciatore del Gelato nel mondo, “e valutare, insieme alla presenza di un laboratorio a vista, colori, consistenza e presentazione del prodotto. Tinte troppo accese – come quelle fluorescenti di certi gusti al pistacchio o alla fragola - lucidità e cremosità eccessive dovrebbero indurre a diffidare. Gelati molto gonfi e soffici presuppongono infatti l’utilizzo di emulsionanti, utilizzati per incamerare aria e rendere il prodotto più stabile e più facile da gestire in vetrina, ma certamente assai poco naturale. La controprova? Una volta gustato scatena una gran sete. Anche l’utilizzo delle vaschette, benché vincenti dal punto di vista del marketing, non è sempre sinonimo di qualità, perché il gelato rimane esposto a lungo all’aria e alla luce. In questo senso i pozzetti in acciaio con il coperchio sono certemente preferibili perché il gelato, non a contatto con l’aria, si ossida di meno. Ma di meno se ne vende anche…”. E le famose polverine paventate dai consumatori?
“Le polverine non esistono, sono ormai una diceria popolare”, spiega ancora Pennestrì. “Esistono, com’è noto, i semilavorati, basi standardizzate per gelateria, usate da moltissimi. Ma non sono necessariamete da demonizzare, ce ne sono infatti di buone e di meno buone e occorre saperle sceglierle. Certo, rispetto al gelato naturale fatto a mano la differenza c’è: esattamente come tra mangiare la carne in scatola e mangiare la carne fresca…”.
Poche e semplici quindi le regole auree di un gelato non crafty: lavorazione quotidiana, materie prime di ecellenza (dai colori naturali), panna e latte freschi, addensanti (come la farina di semi di carrubbe), giusto bilanciamento (il gelato non deve essere né troppo cremoso né troppo duro). E, last but not least, zucchero, rigorosamente italiano “perché è sempre certificato”, sottolinea ancora il presidente, “al contrario di altri provenienti dall’est europeo non sempre ben raffinati”.
E a proposito dello zucchero il maestro gelatiere calabrese sfata un altro mito: “il gelato può essere realizzato con zuccheri diversi dal saccarosio ma non può esserne privo. Diffidare quindi dalle insegne gelateria senza zucchero. Noi come associazione abbiamo introdotto una diminuzione delle dosi ma è un ingrediente che non può assolutamente essere eliminato”.
E mentre nella pasticceria Sottozero di Pennestrì a Reggio Calabria impazzano gusti come il cioccolato con l’alloro, la crema reggina al rhum o l’originalissimo gorgonzola con stracciata di visciole, la domanda è d’obbligo: quanto deve costare un buon gelato artigianale? “Tra i 25 e i 30 Euro al Kg, non di meno, considerati i ricari delle materie prime, come il cacao aumentato del 170% nel 2024 o il caffè del 115% negli ultimi due anni”, sottolinea Pennestrì. E l’annuale diatriba sulla panna? Va fatta pagare o no? “E’ un’opzione che varia da città a città. Ma su un cono con tre gusti da 3,40 Euro incide veramente poco, il 2%... noi non la facciamo pagare”.
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