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Carne coltivata: si moltiplicano i dubbi tra gli ambientalisti

Quanta energia serve per ottenere i cibi da laboratorio? Impatto ambientale forse superiore al previsto

Gli Stati Uniti vanno avanti come un treno con l'autorizzazione di nuovi prodotti a base di carne coltivata (leggi notizia EFA News). L'euforia che si registra a livello governativo e di aziende produttrici tende però a stemperarsi quando a manifestare un'opinione sono gli scienziati. Partiamo da un dato di fatto: la quasi totalità della comunità scientifica ha sposato con convinzione la causa del cibo sintetico. Inquinare di meno è un imperativo categorico anche tra gli studiosi.

Il webmagazine Grist, che si presenta come "organizzazione multimediale indipendente senza scopo di lucro dedicata a raccontare storie di soluzioni climatiche e un futuro giusto", è uno tra i tanti convinti sostenitori del cibo sintetico nelle sue varie declinazioni. L'impiego di queste nuove "carni", sostiene il sito, andrebbe ad abbattere l'"inquinamento climatico globale associato all'allevamento di mucche, maiali o polli dall'11% al 14,5%", ma cita anche altre "stime" secondo le quali le emissioni andrebbero a ridursi addirittura "del 92%".

Grist riporta quindi il pensiero di Elliot Schwarz, scienziato del Good Food Institute, secondo il quale la restrizione delle terre da coltivare o da adibire ad allevamento andrebbe a significare "più terra che potrebbe essere utilizzata per immagazzinare carbonio attraverso il ripristino della natura e dell'habitat".

Tuttavia, riconosce l'articolo, "come per altre tecnologie emergenti, c'è incertezza sulle implicazioni climatiche della carne coltivata". Se da un lato, i cibi ottenuti in laboratorio "non generano metano", per nutrire quelle stesse cellule è necessaria "molta energia" e anche un certo livello di "temperatura". Di seguito, Grist aggiunge: "Alcune ricerche suggeriscono che la sostituzione delle emissioni di metano del bestiame con l'anidride carbonica generata dalla coltivazione della carne potrebbe essere peggiore per il pianeta nel lungo periodo".

Per quanto riguarda la cerne coltivata in laboratorio, "la maggior parte delle emissioni è associata a input energetici", spiega Marco Springmann, ricercatore senior presso l'Environmental Change Institute dell'Università di Oxford. Data l'intensità energetica del processo, Springmann manifesta scetticismo riguardo all'idea per cui la carne coltivata sarebbe "significativamente migliore per l'ambiente rispetto ai tagli che otterresti oggi al supermercato".

Uno studio condotto da ricercatori dell'Università della California - Davis spiega che "la coltivazione della carne dovrebbe diventare più efficiente dal punto di vista energetico per competere con la carne convenzionale dal punto di vista climatico". Il già citato Swartz ha menzionato i "potenziali problemi con le ipotesi alla base di quella ricerca, che non è stata ancora sottoposta a revisione paritaria, come ad esempio che i produttori di carne coltivata hanno già adottato pratiche di risparmio energetico non riflesse nello studio". Dal canto suo, Springmann sostiene che "mangiare meno carne, a vantaggio di più verdure" rappresenterebbe una "soluzione migliore rispetto alla coltivazione di carne nei laboratori". "E' molto improbabile la progettazione di un prodotto che possa essere più ecologico dei legumi", conclude lo studioso.

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EFA News - European Food Agency
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