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Crisi Mar Rosso/2. Rischiano i traffici nel Mediterraneo

Parla il presidente di Federagenti Alessandro Santi

La crisi del mar Rosso, oltre a impattare sui noli, potrebbe avere a lungo termine un effetto ancora più devastante: potrebbe mettere in pericolo la tenuta commerciale del Mediterraneo. Lo ha messo in risalto Alessandro Santi, presidente di Federagenti, in un'intervista esclusiva a Efanews. "I noli container - spiega il presidente della federazione degli agenti marittimi- sono quelli che hanno maggior impatto in questa situazione perché riguardano le navi che hanno subíto i maggiori attacchi ma anche perché sono i più sensibili per valore delle merci caricate a bordo. I noli sono schizzati in alto -prosegue Santi-. Abbiamo raggiunto livelli che non sono ancora quelli pandemici ma sono comunque importanti. Di fatto, i noli sono raddoppiati o anche triplicati, qualcuno parla anche di rincari di 4 volte rispetto al post pandemia. Ripeto: non siamo ancora ai livelli pandemici quando i noli erano decuplicati. E speriamo di non arrivarci, ma la situazione è gravissima".

"Tanti per capirci -aggiunge Santi- un nolo classico per un trasporto container tra Singapore e Genova, o comunque l'Italia mediterranea è passato per colpa delle tensioni sul Mar Rosso da 1.200/1.500 dollari a container a 3.5000/4.000 e anche 4.500 dollari a unità pagante. Niente a che fare col periodo covid quando avevamo raggiunto anche a 10 mila dollari a unità. Ma è in atto un'escalation preoccupante, perché il problema riguarda gli aumenti determinati dall'allungamento della rotta".

"Il problema più grosso -spiega l'esperto- è legato alla filiera logistica: da una parte noi abbiamo i prodotti che ritardano nella fase di consegna o, nel caso dell'export, dal prelievo dal porto italiano al mercato di destinazione finale. Dall'altra ci sono problemi in esportazione: i prodotti finiti che vanno verso la distribuzione nei canali esteri, penso ad esempio ai prodotti della filiera agroalimentare italiana come pomodori, ortofrutta, pasta, prosciutti di alta gamma, hanno difficoltà a causa dei rallentamenti nella consegna. Un problema forte è quello della frutta che ha anche problemi di deperimento: un conto è fare un viaggio di 25 giorni un conto è fare un viaggio da 40 giorni oppure aspettare al proto un mese prima che i prodotti possano essere prelevati. Tutto questo determina una serie di impatti che non sono direttamente economici, cioè che non riguardano solo il nolo o il costo vivo del trasporto per intenderci, ma sono legati proprio al fattore produttivo". 

Una problematica questa, decisamente più complessa ma che si sta già verificando in maniera chiara in alcune filiere produttive come quelle citate, l'ortofrutta in primis e che, secondo l'esperto, si nota addirittura già in alcuni porti dove la dipendenza dalla produzione in entrata dei container è maggiore: parliamo di Trieste, di Venezia ma anche di Genova che ha già subito un rallentamento della catena. 

"Ci sono compagnie che hanno detto in maniera chiara: se la situazione peggiorasse e si protraesse ancora per lungo tempo, le navi dovranno continuare a fare il periplo sotto il capo di buona Speranza. A quel punto, quando arrivano nel Mediterraneo, potrebbero preferire andare in Nord Europa, invece che entrare nel Mediterraneo: e questo anche se le merci da scaricare riguardano proprio porto mediterranei, italiani compresi. Insomma - spiega Santi- invece che servire i porti mediterranei in futuro le navi potrebbero scegliere di andare direttamente a Rotterdam, anversa, Amburgo e, da lì spedire le merci ai porti di destinazione con loro vettori su strada o ferrovia". 

"Non è una situazione da sottovalutare -chiarisce Santi-. È diverso avere servizi diretti e metterci 25 giorni per avere il prodotto o mettercene 40 più trasporto terrestre. Si tratterebbe, a questo punto, di essere soggetti a scelte strategiche di altri. Potremmo essere in difficoltà per industria e per la portualità. 

Perché questo? "Perché -risponde il presidente di Fedragenti- una volta arrivati a Gibilterra, per andare a Trieste ci vogliono 5 giorni, gli stessi giorni che ci vogliono, però, arrivare a Rotterdam, scalo più competitivo, che fa volumi molto maggiori. Alcune compagnie hanno cominciato a dire ai propri clienti: i container li porto a Rotterdam poi ve li faccio arrivare al porto (italiano o di altra nazione continentale) in maniera più veloce. Abbiamo segnali in questa direzione anche se il fenomeno non è ancora radicato: i porti italiani potrebbero venire messi in secondo piano dalla possibilità di lavorare con il Nord Europa e in intermodale, cioè con treni e camion. Questo significherebbe non solo fare un danno all'economia italiana in termini di efficienza e di competitività: questa sarebbe una scelta contraria alla logica della riduzione degli impatti ecologici. C'è un doppio effetto anche se è chiaro che la sicurezza delle persone, dei prodotti, delle merci che sono a bordo delle navi sono fattori prioritari a loro volta".

"I porti del nord hanno una loro centralità al servizio dell'economia europea del nord indipendentemente da questa situazione. Se le compagnie venissero per un lungo periodo invitate a modificare le loro filiere questo potrebbe funzionare da precedente pericoloso, tanto da mettere in pericolo il ritorno a un assetto quale quello a cui abbiamo assistito finora nel Mediterraneo. Se le filiere di approvvigionamento dovessero cambiare il loro assetto e si adattassero a queste mutate condizioni il Mediterraneo verrebbe, di fatto, bypassato. Non solo. A una situazione economica che già bem conosciamo con consumi calati, l'economia che tira meno, oggi si somma anche questo fattore l'economia della portualità entrerebbe in una fase di grande difficoltà. ono in difficoltà. Se perdurasse ci sarebbe un rischio per il Paese: quello di perdere una centralità che non è solo geografica ma che è centralità di una nazione che è la seconda manifattura europea, terzo pil europeo, secondo paese per volumi di import-export europeo e con una portualità importante a livello continentale ".

La partita non è facile, chiosa Santi. "Meglio cercare di ricordarsi della centralità del Mediterraneo e della necessità che ci sia una stabilizzazione dei traffici. L'Italia è il paese che più risentirebbe di questa situazione perché gli altri, bene o male, hanno un affaccio oceanico ma l'Italia, e con lei la Grecia, no e, dunque soffrirebbero non poco. Noi abbiamo un responsabilità in più rispetto ad altri paesi europei". 


 

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