I mieli dei prati dei Monti del Matese diventano Presidio Slow Food
5 apicoltori mantengono gli alveari a 600 metri di altitudine, sul versante campano del Parco nazionale riconosciuto dal ministero dell’Ambiente

Si può raccontare un miele descrivendone il colore, la consistenza, il sapore, l’odore. Oppure si può parlare di come cresce il cardo, di che profumo ha il tarassaco, di quando fioriscono il timo e la santoreggia, di quale aspetto hanno i fiori dei faggi, dei lecci, degli abeti rossi. Il nuovo Presidio Slow Food dei mieli dei prati dei Monti del Matese è un esempio perfetto di protezione del cibo e di quanto sta intorno a esso: perché, senza praterie ricche in biodiversità floreale e arbustiva, quei mieli semplicemente non esisterebbero.
Proprio per questo motivo, contestualmente alla nascita del Presidio dei mieli dei prati dei Monti del Matese, gli apicoltori coinvolti sono entrati anche a far parte del Presidio Slow Food dei prati stabili e dei pascoli. Scopri le immagini del nuovo Presidio Slow FoodDoline e praterie umide
"Il Matese è un massiccio carsico dell’Appennino centro-meridionale, diviso a metà tra Campania e Molise, e dalla scorsa primavera è Parco nazionale - ricorda Vincenzo D’Andrea, referente Slow Food del Presidio-. L’area del Matese comprende cime montuose che raggiungono i duemila metri, ma non solo: «Ci sono le doline, le tipiche conche dovute alla dissoluzione della roccia, e abbondano i prati umidi, grazie soprattutto alla presenza di acqua nel sottosuolo".
Il Presidio Slow Food, che coinvolge cinque produttori tra le province di Caserta e di Benevento, valorizza il lavoro degli apicoltori che mantengono gli alveari in un ambiente ricco in biodiversità, sia animale sia vegetale, e dove la presenza dell’uomo resta ancora oggi limitata.
"Sono realtà agricole che definire piccole è riduttivo, sono proprio minuscole -spiega D’Andrea-. Producono mieli di montagna: il disciplinare di produzione stabilisce un’altitudine minima di seicento metri, dove la vegetazione comincia a cambiare". Qui crescono piante come il trifoglio, il timo, il cardo, il tarassaco, la santoreggia, arbusti come i ciliegi selvatici, i biancospini, gli agrifogli, e alberi come i pini neri, i faggi, i lecci, gli abeti rossi. Le api bottinano le fioriture, regalando prodotti eccezionali e ogni anno diversi.
Antonella Eduardo è la referente dei produttori. "Le api si nutrono soltanto di nettare selvatico e la mia azienda pratica una apicoltura stanziale -racconta Eduardo. Tengo gli apiari a circa novecento metri: da un lato il vantaggio è che qua il territorio è davvero incontaminato, i prati sono incolti, non si pratica agricoltura né la semina dei fiori. Dall’altro, però, a questa altitudine fa più freddo e le api cominciano a bottinare le fioriture un mese più tardi rispetto alle zone di pianura".
Il miele, prosegue, "viene lavorato a freddo, non pastorizzato: così conserva vitamine, sali minerali ed enzimi». Chi pastorizza, spesso lo fa per ragioni commerciali: «I mieli pastorizzati non cristallizzano, restano sempre liquidi, e spesso il cliente tende inconsapevolmente a preferirli".
Con una laurea in Beni culturali in mano, Eduardo ha scelto comunque la via dell’apicoltura. "Spinta dalla curiosità" si è iscritta a un corso, e dopo una manciata di anni come hobbista ha scelto di farne un mestiere. "Pratico un’apicoltura orizzontale -spiega-. Significa che il melario, anziché essere sovrapposto all’arnia, ne è parte integrante su un lato. In questo modo cerco di assecondare il comportamento naturale delle api, che tendono a espandersi in orizzontale. Oltretutto, quando occorre fare una ispezione, l'arnia non viene aperta del tutto, ma solo nelle piccole porzioni che si vanno a visitare: così le api rimangono più tranquille".
Come Antonella Eduardo, anche gli altri produttori del Presidio vivono e lavorano nell’area del Parco nazionale. "Abbiamo voluto favorire l’apicoltura stanziale e i produttori locali, per questo abbiamo scelto di coinvolgere solo chi ha l’azienda nei comuni dell’area protetta -aggiunge D’Andrea-. Per non depauperare la risorsa floreale che in altura è ridotta, abbiamo stabilito anche che ciascun apiario non possa avere più di 25 alveari e che tra un apiario e l’altro vi siano almeno cinquecento metri di distanza".
"Non possiamo permetterci di innescare una competizione tra le api mellifere e gli impollinatori selvatici: bombi, osmie e farfalle sopravvivono grazie al nettare e al polline proprio come le api", conclude D'Andrea.
Guai a trasformare l’apicoltura in una pratica intensiva, il suo monito: anzi, la speranza è che il nuovo Presidio Slow Food dei mieli dei prati dei Monti del Matese possa "incoraggiare a tornare a un approccio estensivo anche chi, sull’Appennino, alleva ovini, caprini e bovini".
EFA News - European Food Agency