Confindustria Assafrica: la resilienza delle imprese italiane
Assemblea dell'associazione. Inalca testimonial per l'agroalimentare
Tensioni internazionali e la sfida dei dazi sono stati il leit motiv del 2025, un anno in cui le imprese italiane attive nel continente africano hanno reagito con intraprendenza, dimostrando capacità di resilienza e adattamento in una cornice di internazionalizzazione basata non solo su esportazioni e investimenti, ma anche su partenariati industriali strutturati, formazione professionale e presenza stabile. È la sintesi di quanto emerso durante l’Assemblea pubblica di Confindustria Assafrica & Mediterraneo, tenutasi lo scorso 12 dicembre, a Roma, sul tema “L’industria del saper fare. Le imprese italiane motore di sviluppo in Africa e Medio Oriente”. La conferenza è stata l’occasione per fare il punto della situazione, nonché dei progetti di filiera e delle iniziative in corso, attraverso le testimonianze di aziende associate a Confindustria Assafrica & Mediterraneo come Maire, Almaviva, Inalca, Metalmont e De Lorenzo, e con il resoconto del Sistema Italia rappresentato da Sace, Simest e Cassa depositi e prestiti (Cdp). In un videomessaggio all’apertura dell’Assemblea pubblica, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha elogiato il lavoro delle imprese italiane di fronte alle complessità del 2025 e ha sottolineato come Africa, Medio Oriente e Turchia siano aree sempre più centrate nella strategia economica dell’Italia.
Fabrizio Saggio, consigliere diplomatico del presidente del Consiglio dei ministri e coordinatore della struttura di missione del Piano Mattei, ha evidenziato che oggi “la presenza dell’Italia e delle imprese italiane in Africa assume un ruolo decisivo”. “Contribuire a creare occupazione, a rafforzare le infrastrutture, a sostenere la crescita locale, a costruire stabilità attraverso sviluppo economico e industriale diventa ancora più fondamentale”, ha aggiunto, ricordando che il Piano Mattei, in meno di due anni, “si è affermato e si sta affermando come una vera strategia nazionale, come un modello, come una piattaforma strategica non solo per la cooperazione, ma anche per l’azione del mondo industriale italiano in Africa”.
Il presidente di Confindustria Assafrica & Mediterraneo, Enrico Maria Bagnasco, ha sottolineato che l’Italia ha “un legame storico, profondo e lunghissimo” con la macroregione che comprende l’Africa, il Medio Oriente e la Turchia. Un legame, ha precisato, che è fatto “non solo di una vicinanza geografica o culturale, ma anche di tante partnership che negli anni si sono sviluppate, e che oggi si rinnova all’insegna della modernità, della sostenibilità e di una maggiore innovazione”. “L’Italia ha molte ragioni per guardare a Sud, con l’ambizione di fungere da anello di raccordo tra questa macroregione e il resto dell’Unione europea. Africa, Medio Oriente e Turchia sono partner strategici, economie in rapida crescita, hub di innovazione e, soprattutto, custodi di una risorsa inestimabile: una popolazione giovane, desiderosa di formazione, occupazione e futuro”, ha affermato Bagnasco.
Tra le testimonianza delle aziende, il settore agroalimentare è stato rappresentato da Inalca, la società del gruppo Cremonini attiva da oltre 40 anni in Africa, con attività stabili in Algeria, Mozambico, Angola, Repubblica Democratica del Congo, Costa d'Avorio.
"In 5 anni - ha spiegato il Direttore esecutivo di Inalca Riccardo Zani - il fatturato aggregato delle nostre filiali africane è passato da 118 milioni di euro nel 2020, ai 230 milioni attesi per il 2025, con investimenti di oltre 36 milioni di euro in strutture produttive e piattaforme logistiche".
Zani, che è anche il Vice Presidente di Confindustria Assafrica, ha sottolineato le enormi prospettive di sviluppo per il business agroalimentare. "Attualmente il 30% del PIL del continente africano deriva dal settore agro-alimentare che però sfama meno del 50% della popolazione attuale per la quale è previsto un aumento di 1 miliardo di individui da qui al 2050, passando dai 1,4 a 2,4 miliardi di abitanti. Ciò comporterà anche la crescita del consumo di proteine animali di cui "si calcola il raddoppio della domanda entro il 2050, da 4,71 milioni di t nel 2020 a 9,49 milioni nel 2050, ma con insufficiente produzione locale. Ciò significa che l’Africa nel breve termine è ancora dipendente dalle importazioni di generi alimentari e al contempo necessita di aziende che investano nelle filiere agricole e zootecniche e infrastrutture locali. Quindi la sfida alimentare e la sfida dello sviluppo in Africa di fatto coincidono".
In questo contesto Inalca continuerà a investire. "La nostra azienda - ha spiegato Zani - ha un posizionamento strategico ben definito e unisce due dimensioni complementari. Da un lato ha un approccio dall’estero, dove, grazie al know how industriale e commerciale e alla presenza internazionale del gruppo, esportiamo in Africa prodotti alimentari, competenze, tecnologie, standard di qualità e sicurezza alimentare. Dall’altro lato, in loco, attraverso le nostre filiali e le società controllate, potenziamo i sistemi agricoli e agro-zootecnici locali, acquistiamo prodotti alimentari dai produttori in loco, valorizzandoli nei nostri stabilimenti e vendendoli attraverso il nostro network distributivo al cliente finale e nei nostri cash&carry".
Gli obiettivi dell’azienda sono pertanto tracciati. "Vogliamo continuare a garantire la distribuzione dei prodotti alimentari, in particolare di proteine animali a prezzi accessibili; vogliamo continuare a investire nella produzione locale, sviluppare ulteriormente le filiere locali e le competenze africane e costruire partnership industriali strutturate, assicurando la sostenibilità economica e sociale delle nostre attività. Sono queste le condizioni per creare valore condiviso e rendere l’Africa protagonista del proprio futuro alimentare".
Permangono tuttavia diverse criticità che frenano gli investimenti esteri. Secondo il direttore di Inalca, "tali problematiche sono legate soprattutto al contesto valutario e finanziario, in particolare nei Paesi dell’Africa subsahariana – prioritari anche per il Piano Mattei – come Angola e Mozambico. In queste aree si registra una forte difficoltà nella conversione della valuta locale e una conseguente carenza strutturale di valuta forte, che rende complesso per gli operatori locali non solo rimborsare gli investimenti, ma anche onorare i debiti commerciali verso fornitori esteri. A ciò si aggiunge la marcata volatilità delle valute, soggette a continue svalutazioni e deprezzamenti. Ne deriva un quadro finanziario particolarmente complesso, che limita la capacità di investimento anche delle imprese più solide: non semplici difficoltà operative, ma veri e propri ostacoli strutturali”.
Si risolveranno? "Siamo fiduciosi - è la conclusione di Zani - e stiamo lavorando anche col nostro governo, istituzioni e tutte le banche di sviluppo, per individuare strumenti adeguati a sostenere le imprese che hanno già investito e che operano in questi territori e nei Paesi del piano Mattei".
EFA News - European Food Agency