Libri. La favola della pinsa romana
Nel volume di Corrado Di Marco un viaggio tra tradizione, innovazione e identità
Il fondatore del brand capitolino dà alle stampe il suo libro di memorie e ricette.
La "pinsa romana" è ormai da molti anni un brand di richiamo internazionale. Un successo che, quarant'anni fa, nessuno avrebbe mai immaginato, forse nemmeno il suo ideatore. Nel suo libro "L'invenzione della pinsa romana. Con gustose ricette da tutto il mondo" (Mondadori, 2025, pp. 184), Corrado Di Marco rievoca la sua vita e le sue vicende culinarie e imprenditoriali, da sempre legate a doppio filo a quelle della sua famiglia.
Il volume si apre con la dedica dell'autore al padre Domenico Di Marco ("un uomo venuto dal nulla, che ha creato una fortuna: la famiglia") e si chiude con la fotografia di Corrado Di Marco assieme alla moglie Benny (biologa nutrizionista, determinante in molti suggerimenti di prodotto) e i tre figli Alberto (laureato in economia), Enrico (biotecnologo) e Francesco (dedito al reparto amministrativo dell'azienda). Tre generazioni coinvolte in questo sogno diventato realtà chiamato pinsa romana.
A più di ottant'anni (ma non li dimostra affatto), Corrado Di Marco ha svelato tanti risvolti ed episodi inediti, non mancando di sorprendere. Si definisce un "uomo di poche parole", poco propenso a perdersi "in chiacchiere o rispondere alle provocazioni". Nato a Roma da una famiglia benestante di origine umbra, Di Marco è a sua volta cresciuto in una famiglia dedita alla panificazione. Il padre Domenico e la madre Ines producevano "grissini, pane in cassetta e altri prodotti simili", irrinunciabili in un Italia che, durante la guerra, aveva ridotto drasticamente il consumo di carne.
Gli anni '50 avevano iniziato a mostrare i primi segni di benessere e innovazione e, in particolare il frigorifero aveva rivoluzionato le abitudini culinarie degli italiani. In questo scenario, Corrado Di Marco, appena undicenne, senza abbandonare gli studi (è un uomo colto e avvezzo alle citazioni letterarie), inizia a lavorare e a guadagnare, dando una mano ai genitori nell'azienda di famiglia.
La vita non gli ha risparmiato amarezze, con il declino dell'impresa paterna, salvata dal fallimento, grazie anche agli ultimi debiti saldati dallo stesso Corrado all'inizio degli anni '70. Dopo aver commerciato per anni carne suina, il giovane imprenditore romano prende atto dell'elevato costo dei macchinari per l'estrazione dei grassi suini utili per l'industria dolciaria. Decide allora di mettere a punto "un sistema di lavorazione molto semplice, quasi artigianale, che mi permetteva di ottenere due tipologie di grasso: la margarina, più leggere, da destinare all'industria dolciaria, e lo strutto, un grasso emulsivo dalla consistenza più oleosa, adatto alla panificazione speciale, ma soprattutto al settore pizzeria".
Il resto è storia, con alcuni momenti spartiacque: a partire dalla vittoria di Di Marco al Campionato Mondiale della Pizza 1991 a Caorle (VE), un episodio che incoraggia il panificatore romano a non adagiarsi sugli allori e a ideare una nuova creazione, che attinge alla perizia delle generazioni precedenti. "Quando decideva di preparare l'impasto della pizza", scrive Corrado Di Marco, "nonno Settimino prendeva una parte dell'impasto utilizzato per le rosette e lasciava che lievitasse a lungo. Quando la lievitazione era al punto giusto, ungeva una teglia con abbondante olio d'oliva e, schiacciando l'impasto con le dita, lo lavorava fino a raggiungere una forma ovale. Raggiunta la forma desiderata, lasciava che lievitasse qualche altra ora. Dopo averlo condito con una semplice salsa di pomodoro, aggiungeva altro olio e lo informava".
"Il risultato era una pizza dal sapore unico", ricorda ancora Di Marco. "A esaltarne il sapore, però, non erano solo i prodotti utilizzati. Il suo impasto era croccante, leggero al palato e, come ogni buona pizza, non aveva bisogno di nascondersi dietro i condimenti. Aveva solo un difetto: quando la pizza si raffreddava, perdeva parte della sua bontà". Realizzato il sogno di suo padre, Corrado Di Marco è pronto a lanciare il suo originale brand, al quale, però, manca ancora un nome. La necessità di pressare costantemente il prodotto con le dita "per raggiungere la forma desiderata, suggerì a Di Marco che "pinsere in latino significa 'schiacciare'": da qui l'opzione per "un nome che richiamava ma, allo stesso tempo, permetteva di distinguerlo dalla più famosa pizza napoletana tonda. Nacque così la pinsa romana".
Segue, nel 1993, l'apertura della scuola di formazione per pizzaioli. Poi, nel 2001, l'apertura della prima pinseria, "La Pratolina", che prende il nome dal quartiere Prati, dove è ubicata. In tempo di pandemia è infine nata la Romana Gluten Free, per venire incontro ai gusti dei celiaci amanti della pinsa.
"Ci vuole lungimiranza, uno sguardo proiettato al futuro, consapevole di essere parte di un mondo che cambia, della necessità di affidarsi a nuove tecnologie, senza però perdere di vista un'idea di alimentazione moderna e sostenibile", aggiunge Di Marco, che, nel capitolo finale, chiosa: "Mi fa sorridere pensare che, mentre io trascorro le mie giornate tra i tre stabilimenti della Di Marco, le mie farine e le mie pinse viaggiano per gli oltre sessanta Paesi del mondo in cui sono distribuite".
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