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Carni sintetiche? Troppe le cose che non tornano...

Per Luigi Scordamaglia non esiste alcuna evidenza che i cibi di laboratorio non facciano male

"La gente ama la tecnologia, ma non vuole mangiarsela“. È questo il succo dell'intervento che ha fatto Luigi Scordamaglia consigliere delegato di Filiera Italia, all'atto dell'insediamento del nuovo consiglio provinciale Coldiretti di Treviso che ha confermato Giorgio Polegato come presidente (vedi EFA News). Una dura presa di posizione contro il cibo sintetico, quella di Scordamaglia, avvalorata dal fatto che non esiste alcuna evidenza del fatto che i cibi in laboratorio non facciano male. Anzi per la verità, sottolinea Scordamaglia, “la Fao e l’Organizzazione mondiale della sanità hanno riscontrato la presenza di 53 potenziali pericoli per la salute nell’ambito del processo di produzione della carne coltivata”. Il meccanismo di produzione è, del resto, complesso: parte dal liquido fetale, ottenuto uccidendo un animale, poi vengono utilizzate cellule staminali in un bioreattore con un brodo di coltura. Con tanto di uso di ormoni, vietati nella produzione zootecnica, e anche una massiccia dose di antibiotidici. 

Alla faccia del bio, insomma. Per questo, secondo Scordamaglia, "il processo di autorizzazione per l’introduzione sul mercato di carni sintetiche dovrebbe essere quello utilizzato per i farmaci". Inoltre anche sull’impatto ambientale delle carni sintetiche i numeri non tornano. Oltre ai rischi per la salute umana, infatti, c’è poi da prendere in considerazione l’aspetto ecocompatibilità. 

Secondo le stime di Scordamaglia, l’impatto ambientale della carne coltivata è dalle 4 alle 25 volte superiore rispetto a quello di un prodotto tradizionale proveniente da allevamenti: così per produrre i 44 milioni di carni sintetiche al 2030, come richiesto dalla domanda globale, si produrrebbero 354 milioni di tonnellate di CO2 contro i 150 degli allevamenti. Il tutto utilizzando 150 mila bioreattori.

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EFA News - European Food Agency
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