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Emissioni industriali: le ragioni per escludere gli allevamenti bovini dalla direttiva Ue

Il dg di Assocarni, François Tomei: "Patrimonio bovino ridotto del 40% in 60 anni"

Mercoledì sarà una giornata decisiva al Parlamento Europeo su molti fronti. Oltre che sul “ripristino di natura” (leggi notizia EFA News), si voterà anche sulla controversa direttiva che equipara le emissioni degli allevamenti bovini a quella degli impianti industriali. I comparti zootecnici di tutta l’Unione Europea, si confermano compattamente contrari a questa assimilazione.

Il direttore generale di Assocarni François Tomei che già in marzo aveva espresso la posizione della sua associazione (leggi notizia EFA News) ribadisce: “Permettere che passi l’equazione ‘allevamenti=fabbriche’ non solo rappresenterebbe l’anticamera dello smantellamento del sistema zootecnico europeo che, nel suo complesso, oggi vale 170 miliardi di euro e impiega direttamente più di 4 milioni di persone, ma potrebbe avere esiti disastrosi per l’ambiente, per l’economia e per la sicurezza alimentare”.

A colloquio con EFA News, Tomei elenca quindi una serie di argomentazioni scientifiche in forza delle quali l’allevamento bovino non merita di essere equiparato alle fabbriche inquinanti. In primo luogo, il direttore generale di Assocarni ricorda che il patrimonio bovino e bufalino nel continente europeo è calato del 40% negli ultimi 60 anni, passando dai 193 milioni di bovini del 1961 ai 115 milioni di oggi. A livello mondiale, al contrario, nel medesimo sessantennio, lo stesso patrimonio bovino e bufalino è cresciuto da 1 miliardo di capi a 1,7 miliardi. Stando ai dati dell’inventario Ue del 2021, inoltre, “il primo settore per emissioni è l’energia (27% del totale EU), seguito dai trasporti (22,5%) dall’industria (22%) e dai consumi residenziali (13%), mentre l’agricoltura si colloca al quinto posto con l’11%”. Non è tutto: la Commissione Ambiente non tiene conto “della forte riduzione delle emissioni degli allevamenti europei che, dal 1990 al 2020, sono calate del 23% (da 317 a 245 milioni di tonnellate di CO2e) e che quelle di metano enterico, gas particolarmente sotto accusa, del 22%”, sottolinea Tomei. In questo ambito, poi, l’Italia si mostra ancora più virtuosa, dal momento in cui “il comparto agricolo pesa per il 7,8% sul totale delle emissioni climalteranti e di queste solo il 4% sono imputabili alla filiera della carne e del latte”.

Altro elemento rassicurante sul piano ambientale sono nuovi studi da cui emerge che “le attività zootecniche negli ultimi dieci anni non solo non hanno impattato sull’ambiente, ma hanno contribuito a raffreddare l’atmosfera con emissioni ricalcolate cumulativamente a - 49 milioni di tonnellate di CO2 equivalente”.

E ancora: gli allevamenti bovini “contribuiscono al presidio del territorio e alla fertilità dei terreni in modo naturale”, prevenendo in particolare “il dissesto idrogeologico e l’abbandono delle aree marginali grazie alla presenza costante dell’allevatore/agricoltore”. Il settore bovino è anche un “modello perfetto di economia circolare”. Da questa filiera “si ottengono molteplici prodotti, sottoprodotti e co-prodotti che sono destinati a vari utilizzi. Nella fase agricola – ricorda Tomei – i reflui zootecnici sono utilizzati dagli allevatori per fertilizzare i terreni sui quali si producono le razioni necessarie all’alimentazione dei bovini e sono, inoltre, indispensabili come fertilizzanti nella produzione di coltivazioni biologiche destinate all’uomo”. L’Italia, oltretutto, è il 4° produttore mondiale di biogas dopo Germania, Cina e Usa.

Sul piano della sicurezza alimentare, gli allevamenti bovini contribuiscono al soddisfacimento della crescente richiesta di alimenti di origine animale vedrà un aumento del 30% entro il 2050. “Appare evidente – osserva Tomei - che le attività zootecniche, in primis quella dell’allevamento bovino, non sono sostituibili, ma che anzi debbano proseguire nella direzione già intrapresa, produrre di più, in maniera più efficiente, con un sempre migliore uso delle risorse, insomma proseguendo nella direzione della sostenibilità”.

Ultima – ma non meno importante – ragione per non penalizzare la zootecnia bovina sta nel fatto che essa rappresenta più del 4,5% del fatturato del comparto agroalimentare italiano (esclusa distribuzione e ristorazione), per un valore di oltre 9 miliardi di euro (dati Ismea), e vede coinvolti più di 358 mila addetti e oltre 133 mila aziende agricole attive in tutte le regioni del nostro Paese. Un suo ridimensionamento, quindi, “colpirebbe la competitività della filiera, già deficitaria per circa il 50%, rendendo l’Italia dipendente da Paesi Terzi con standard ambientali e qualitativi molto diversi dai nostri”, conclude il direttore generale di Assocarni.

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EFA News - European Food Agency
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