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Emilia Romagna, l'invasione degli ultragranchi

Si moltiplicano le specie non autoctone che mettono a rischio l'economia regionale

Non c'è solo il granchio blu come specie non autoctona a infestare i nostri mari e le nostre terre. Diciamolo subito, a scanso di equivoci: non è rassicurante la fotografia che emerge dal convegno nazionale sulla tutela della biodiversità e sul contrasto alle specie aliene invasive organizzato da Legambiente in collaborazione con Life Green4Blue e Consorzio della Bonifica Renana.

A infestare le nostre zone, ci si mettono infatti anche testuggini palustri e scoiattoli grigi, procioni e rane toro provenienti dal Nord America e altri animali come i gamberi rossi della Luisiana. Per non parlare di ibis, oche egiziane, calabroni asiatici dalle zampe gialle.
Sono solo alcune delle specie animali non autoctone che si sono diffuse e proliferano in Emilia-Romagna mettendo a rischio l’intero ecosistema. 

Anche per quanto riguarda la flora, sono 569 le piante di altre parti del mondo che si sono diffuse nel nostro territorio. Emblematico è il caso della felce rampicante giapponese che veniva venduta da un vivaio della regione: pubblicizzata in una rubrica di giardinaggio su un’importante testata nazionale, la pianta cresce in fretta e può arrivare fino a 30 metri di altezza, avendo la meglio sulla flora locale.

Il caso più allarmante, certo, rimane ancora quello del granchio blu, che divora vongole e cozze dell'Adriatico minando economia marittima. Ma il peggio è che, come sottolinea Fabio Collepardo Coccia, biologo del Consorzio Universitario per la Ricerca Socioeconomica e per l'Ambiente-Cursa, "quello che abbiamo visto finora è solo la punta dell'iceberg: le femmine stanno deponendo infatti milioni di uova. E adesso il crostaceo si sta diffondendo anche dove c’è acqua dolce o quasi".

"Spesso -aggiunge il biologo riportato da La Nuova Ferrara- maschi e femmine si muovono separati e quindi andrebbero tracciati. Quest'anno ho raccolto personalmente femmine produttive, con uova, da fine aprile ad oggi. Ogni femmina ha la capacità potenziale di deporre fino a due milioni di uova, quindi, immaginiamo cosa potrà succedere in futuro".

Solo studiando il ciclo biologico di questa specie sarà possibile contrastarla in maniera efficace. "Continuare a mangiare il granchio blu, come stiamo facendo, non basterà -sotolinea l'esperto-. E nemmeno la pesca a strascico servirà: non è una misura attuabile, visto che distrugge gli ecosistem". 

A preoccupare sono anche altre specie, spiegano Monica Palazzini, Silvia Messori e Sonia Braghiroli del Servizio aree protette, foreste e sviluppo della montagna della Regione Emilia-Romagna. Prime tra tutti le nutrie, piroditori ormai diffusissimi in tutta la Pianura Padana e nella zona collinare: con la loro azione erosiva mettono a rischio la tenuta degli argini di fiumi e canali. Nel solo 2022 in Emilia-Romagna ne sono stati catturate oltre 100.000 esemplari che danneggiano la terra e dannegiano anche l’economia.

"I cambiamenti climatici favoriscono una serie di specie aliene -spiegano le esperte-. In alcuni casi sarebbe stato possibile intervenire tempestivamente per evitare che invadessero il territorio. Adesso l’Europa ci obbliga ad intervenire su un numero di animali molto maggiori".

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EFA News - European Food Agency
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