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Truffa dell'olio in Toscana, la Cassazione conferma condanna per frode

Chiusa dopo più di dieci anni la vicenda dell'olio extravergine taroccato con olio lampante/Allegato

Si è chiusa definitivamente in questi giorni, dopo un decennio circa, la questione dell'olio venduto per 100% extravergine d’oliva italiano e che, invece, era olio lampante, ossia olio trattato chimicamente e che presenta elevati livelli di acidità tanto da non essere commestibile. La Corte di Cassazione, infatti, con la sentenza 50753 del 20 dicembre 2023 ha, di fatto, confermato la maxi truffa di un'azienda toscana, la Azienda Olearia Valpesana S.p.a (oggi Verdeolio Mediterraneo S.r.l) confermando anche il reato di frode in commercio.

Il meccanismo che ha portato l'azienda davanti ai giudici era quello che commercializzare olio extravergine d’oliva finto, in quanto ottenuto miscelando olio vergine e olio lampante (quello che anticamente si usava per accendere le lampade, per intenderci). Con trattamenti chimici, come dicevamo, l'olio veniva opportunamente "deodorato" per eliminare i cattivi odori: quel che è peggio è che questo olio taroccato finiva poi sugli scaffali della grande distribuzione marchiato come olio 100% italiano anche se le bottiglie contenevano il 30-40% di olio proveniente da Spagna, Grecia e Tunisia.

La scorsa settimana, come detto, è arrivata la sentenza della Cassazione che ha annullato con rinvio la confisca disposta sui beni della società (oggi diventata S.r.l., come abbiamo visto) "limitatamente all’ammontare degli importi considerati profitto del reato". La Suprema corte ha, invece, respinto i motivi di ricorso tesi a contestare la frode commessa nell’interesse della società: gli Ermellini, dunque, hanno confermato la frode in commercio.

Il meccanismo andava avanti dal 2010 ma la Guardia di Finanza e l’ispettorato centrale repressione frodi avevano messo sott'occhio l'azienda toscana tanto che, su mandato della Procura di Siena, nel 2013 avevano messo i sigilli a più di 8mila tonnellate di olio stoccate in cisterne in provincia di Siena, pari a circa l’1% del prodotto nazionale.

Secondo la sentenza della Cassazione l’inclusione nel prodotto finale di olio lampante poi commercializzato come extravergine basta a far scattare la frode in commercio, per la “vendita di un bene privo della qualità edibile formalmente promessa”. Per i giudici della Suprema Corte non è stata considerata veritiera nemmeno la certificazione che garantiva l’origine al 100% italiana dell’olio “sebbene -riporta la sentenza- composto da masse greche e spagnole”. Per i giudici è, infatti, provata la vendita a terzi di olii di provenienza geografica diversa “rispetto a quella pattuita o comunque rispetto a quella effettiva”.

Le indagini condotte dalla Gdf dal 2010 avevano portato al sequestrato di materiale: proprio questo aveva permesso di scoprire indicazioni dei parametri chimici dell’olio da cui emergevano valori riferiti agli alchilici esteri (composti chimici di origine naturale che si formano nell'olio d'oliva a causa della combinazione tra acidi grassi liberi e alcol etilico e metilico), ai perossidi e all’acidità al di fuori di quelli previsti dalla normativa per classificare un olio come extravergine di oliva.



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